formazione lavoratori
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Tutti in attesa del famigerato rinnovo dell’Accordo Stato-Regioni, senza che vi sia, almeno per quanto mi è dato sapere, un apporto fattivo almeno della parte professionale a cui appartengo. Cos’è la formazione e cosa invece dovrebbe essere? Questa domanda sta diventando un quesito esistenziale per il mondo degli addetti ai lavori direttamente o indirettamente interessati. Girano bozze più o meno affidabili, a cui spesso di va dietro in considerazioni di comodo; è stata fatta girare quella bozza per questo o quel motivo e via discorrendo, tralasciando ovviamente altre analisi attuali molto più impellenti.

Mi occupo saltuariamente di formazione come docente; le volte che intervengo cerco di scambiare le mie conoscenze ed esperienze con quelle dei discenti in sala, tentando di carpirne l’umore rispetto a canoni, istanze, necessità che accomunano il mondo dei consulenti nel nostro settore.

Come mia abitudine mi piace mettere insieme i puntini che nel nostro settore sono rappresentati da: i dati infortunistici, docenti spesso dotati di una spiccata incapacità comunicativa e addetti ai lavori/discenti sempre più annoiati, fino ad arrivare a operai sempre più addormentati durante le ore di formazione. C’è anche un altro puntino, quello della formazione farlocca, in cui non entro perché magari cercherò di affrontarlo con un altro articolo, ma va da sé che se esiste come esiste la formazione farlocca, anche lì la colpa non può ricondursi solo ad un rapporto malsano tra Datore di Lavoro e consulente formativo, il vulnus è molto molto più ampio.

Accordo Stato-Regioni – aspettando Godot

Parto dal primo punto, i dati infortunistici, che mantengono la loro triste solidità tra morti ed infortunati sul lavoro. Mai tanta formazione, mai tanti dispositivi di protezione individuale e collettiva così all’avanguardia, mai tanti esperti nel mondo consulenziale e formativo, mai tanti (presunti) influencer della sicurezza, ma il dato statistico degli infortunati viene solo leggermente scalfito.

Vado al secondo e terzo punto, docenti inadeguati e addetti ai lavori/discenti sempre più annoiati; fare formazione è lavoro, fare comunicazione è un’arte e non si può far bene la prima se non si ha piena consapevolezza della seconda. E’ vero che in questo mare magnum di docenti (la stessa cosa per i consulenti), in molti dovrebbero farsi due domande sul perché i discenti si addormentano ma sta di fatto che si parla, però, sempre delle stesse cose e questo è incontestabile perché è proprio la norma a obbligarci.

Passo all’ultimo punto di riflessione, i lavoratori e le lavoratrici e la loro disaffezione alla concentrazione; qual è il motivo? Scarso appeal dei docenti? Ripetitività degli argomenti trattati?

Navigando sul mare magnum di linkedin, che ahimè sta prendendo sempre più tutte le cattive abitudini di facebook, ne vediamo e leggiamo ogni giorno di ogni. Spesso mi chiedo se nani e ballerine, usando una locuzione tanto cara negli anni Ottanta, sempre più presenti nel nostro mondo, possano davvero risolvere questo problema. Vedo molta vetrina e poco contenuto, molta voglia di usare il mezzo sicurezza sul lavoro come marketing, al di là della fisiologica necessità di visibilità lavorativa e poca voglia di confrontarsi coi lavoratori. Infine, fatemi fare ‘antipatico fino in fondo, non possiamo essere tutti sempre concordi con i colleghi e nemmeno possiamo essere sempre lì a confrontarci sul chi è più fresco, effervescente, illuminato, perché mentre giochiamo a chi la fa più lontano, ogni giorno ci sono sempre i soliti problemi e gli stessi morti.

Riportare questo settore a dei canoni di concretezza, roba abbandonata ormai da tempo ma che forse risulta essere l’ultima strada da percorrere. Svestiamo i panni dei nani e ballerine e riappropriamoci di una dialettica che si basi su un confronto tra le parti che non vuol dire solo tra Addetti ma anche tra addetti ei lavoratori. Il problema che ipotizzo però non è solo il mancato (vero) confronto ma anche e soprattutto un cambio totale sul sistema formazione.

Uniti i tre punti sviscerati all’inizio, sarà forse il dove e non il come, che stiamo sbagliando? Sarà forse che è ora di ribaltare il paradigma, meno aula e più azione sul campo cosa che però, è bene chiarirlo subito, di per sé non significa addestramento. Spostarsi da un’aula a un campo prove poco cambia nella percezione dei discenti, anche perché spesso le realtà più organizzate, sono già dotate di questo tipo di strutture. Calarsi appesi come salami da una americana o usare un estintore 5 secondi per spegnere un incendio finto, non è attinente alla realtà, dove quell’americana è una gronda in pieno centro storico con sotto gente che passa o quell’incendio che non si propaga in modo così ordinato. Possiamo anche ricostruire artificialmente alcune condizioni, ma è evidente che, come la peggiore delle esercitazioni antincendio dichiarata mesi prima, non si riesce a stressare la psiche dei discenti allo stesso modo della realtà. Quindi se non possiamo ricreare puntualmente la realtà e soprattutto le operatività e sensazioni, in aula, evidentemente dobbiamo spostare tutta la formazione calandola nella realtà operativa di quei lavoratori, di sicuro almeno tutta la parte di aggiornamento.

Un lavoratore è come un alunno in cui andrebbe capito se ha carenze puntuali o generali sulla materia; infilarlo in un’aula o in un campo prove senza capire su quali criticità c’è da lavorare, è un esercizio di stile utile a chi la formazione la fabbrica.

Se mi passate un parallelismo spaziale, probabilmente si sta approcciando il problema nello stesso modo in cui i tecnici NASA analizzarono in prima battuta quello dell’Apollo 13…si era esploso un serbatoio, ma tra i mille problemi che si erano originati, non l’ossigeno ma l’alimentazione elettrica era il vero nodo da risolvere per l’incolumità finale dell’equipaggio. Allo stesso modo nel nostro settore rischiamo di concentrarci in modo esagerato su aspetti che, per mille motivi, distolgono l’attenzione da cose più cogenti e che quindi continuano a generare i numeri di infortunati che ben conosciamo.

Sul punto proprio ieri ho avuto uno scambio con un capo cantiere che mi ha fatto vedere il test sul corso dei prodotti contenenti dissocianti che aveva fatto nel w.e. in retta e furia; ho letto le domande del test e ridendo gli ho detto che il mio esame di chimica all’Università era più semplice. Cosa rimane a quel lavoratore che ha subito un pistolotto di ore con una sintesi della chimica che, ai miei tempi, si faceva al biennio dei Geometri? Quel lavoratore, inserito nel suo contesto lavorativo, riuscirà a trarne beneficio?

Da tutte queste considerazioni e da molte altre che non ho indicato o che ignoro per non averle vissute direttamente, mi sorge il dubbio che nell’attesa del accordo Stato-Regioni ci stiamo concentrando su obiettivi errati.  E’ come se si stesse facendo un tagliando al motore di un mezzo che però non è quello giusto per risolvere il problema.

Fatto tutto questo pistolotto, è ora di scrivere qual’é la mia idea di nuova formazione; penso a un qualcosa che parta da un censimento del grado di operatività dei discenti da parte del docente, che andrà sul luogo di lavoro e capirà chi ha davanti, che grado di effettiva preparazione ha sul tema, quanto siano routinarie quelle procedure per il lavoratore e quali sono gli strumenti che gli vengono affidati per quel tipo di operazione. Seguirà una fase di correzione sul campo e solo dopo, eventualmente, un recap in aula di tutte le maestranze ma al solo fine di far vedere dove e come hanno sbagliato, con esempi pratici che possano aiutare i colleghi. Ovviamente comprendo che si tratta anche di una formazione dispendiosa a livello economico e mentre realtà organizzate già la trattano sul campo, le PMI magari potrebbero sostenere tutto questo percorso grazie ai loro sistemi di associazionismo. Non ci dimentichiamo che il dato infortunistico si origina prevalentemente nelle PMI.

Attendendo il nuovo accordo Stato-Regioni, è ora di passare da una formazione prêt-à-porter ad una formazione sartoriale, che sia un (vero) valore aggiunto e non un cartellino da dover timbrare con una routine stabilita da chi magari si è messo l’ultima volta un’imbracatura trenta anni fa.

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