Con la sentenza della Sezione IV di Cassazione penale, n. 18149/2010, è profondamente mutato l’atteggiamento della giurisprudenza (e del legislatore) circa gli obblighi in capo al Coordinatore per la Sicurezza in fase di Esecuzione, il quale finalmente trova una collocazione giuridica più consona rispetto a quelli che erano gli intendimenti della direttiva comunitaria 92/57/EEC che ne ha visto l’istituzione.
Nella citata sentenza si legge, in sostanza, che la funzione di vigilanza del coordinatore è da considerarsi alta e non deve essere confusa con quella operativa demandata al datore di lavoro.
La sentenza, anche se ha visto qualche provvisorio ripensamento, è stata confermata definitivamente dalla Cassazione con la sentenza n. 2880/2013, delineando poi, in maniera definitiva, l’area di rischio di competenza del CSE:
“quella che attiene alla conformazione generale delle lavorazioni (che tiene conto dell’area e dell’organizzazione del cantiere, delle lavorazioni e delle loro interferenze)”
e, dunque, non la singola lavorazione né il rischio specifico.
Ne consegue, ancora, che il “compito del coordinatore è quindi quello di prendere in considerazione le fonti di pericolo rappresentate dall’ambiente di lavoro, dal modo in cui sono organizzate le attività in esso, dalle procedure lavorative, e dalla convergenza in esso di più imprese”.
Vigilanza alta del CS e differenti tipi di controllo
La giurisprudenza, dunque, ammette l’esistenza di due livelli operativi: quello del controllo sulla conformazione generale delle lavorazioni (quindi sul funzionamento di un “progetto” di sicurezza che opera mediante procedure) e quello del controllo concreto e stringente che compete alle imprese presenti in cantiere che hanno quindi poteri–doveri di intervento diretto ed immediato. Come vedremo, il potere di intervento diretto del CSE si concretizza esclusivamente quando egli accerti direttamente pericoli gravi.
Una delle questioni più calde che ha riguardato la figura del CSE è quella relativa alla sua presenza in cantiere; la domanda è sempre stata su quanti sopralluoghi fossero necessari al Coordinatore per potere ottemperare ai propri doveri.
Anche in questo caso, la Corte di Cassazione ha avuto l’occasione di esprimersi, principalmente con la sentenza n. n. 15640/2010 in cui si è affermato che “la cadenza dei controlli non è stabilita per legge, per cui sta al CSE stabilire quando eseguirli. Il criterio è quello di controlli costanti (e cioè sistematici, non saltuari né occasionali senza alcuna logica) e misurati nelle fasi di lavorazione”.
Il dispositivo di cui trattasi è stata più volte ripreso all’interno di altre sentenze di Cassazione, anche recenti, ricostruendo il corretto status giuridico affidato dal legislatore al Coordinatore sicurezza, per il quale non esiste dunque un obbligo di costante presenza in cantiere ma, bensì, l’obbligo più ampio di mettere in campo opportune azioni di garanzia sul rispetto del PSC e della normativa, limitando la presenza fisica in cantiere a quelle fasi alle quali, per criticità o difficoltà, riterrà opportuno presenziare.
Il Coordinatore, dunque, se avrà ben progettato e gestito il sistema sicurezza del cantiere potrà limitarsi ad effettuare dei sopralluoghi periodici, verificando che vengano adottate le prescritte misure di sicurezza; presenzierà personalmente a quelle attività o fasi di lavoro la cui criticità o pericolosità non gli abbiano consentito di porre in essere adeguate soluzioni prevenzionistiche all’interno del proprio PSC.
La logica della vigilanza alta del CS, dunque, è quella di una sistematica verifica sull’attuazione delle procedure previste nel PSC con l’eventuale finalità di attuare opportune azioni correttive nei casi vi siano “scostamenti” che potrebbero generare nuovi rischi, secondo quello che è, in tutto e per tutto, un ciclo di Deming.
La vigilanza alta, dunque, restituisce al CSE una corretta dimensione giuridica, chiarendo i contorni della posizione di garanzia che lo caratterizza.
Occorre però prestare attenzione: la vigilanza alta del CS non deve diventare un comodo pretesto per potersi disinteressare alle vicende del cantiere, delle lavorazioni e, specialmente, dei rischi interferenziali che inevitabilmente tendono a generarsi con l’evoluzione del cantiere stesso. Gli organi di vigilanza sanno ben distinguere tra vigilanza “alta” e vigilanza “assente”.
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