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Il recente d.l. I 146/2021 ha modificato in maniera significativa l’art.14 del d. lgs. 81/2008, revisionandone la casistica per la quale gli organi di vigilanza devono adottare il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale.  

Sinteticamente: viene abbassata (dal 20 al 10%) la percentuale di lavoratori irregolari presenti sul posto di lavoro e viene eliminata l’ipotesi della reiterazione della violazione e viene rivisto l’allegato I al TUSL con il relativo elenco di violazioni gravi che possono comportare l’adozione del suddetto provvedimento. 

Tra queste ultime violazioni, troviamo anche la mancata redazione del documento di valutazione del rischio

Sospensione dell’attività imprenditoriale -così parlarono i social

Questa (ma anche altre) fattispecie ha scatenato, specialmente sui social (luoghi virtuali frequentati spesso da presunti influencer tecnici cultori della materia), commenti di ogni tipo i quali, nella maggior parte dei casi, non hanno nemmeno una correlazione con l’argomento. 

 Ma i commenti che stridono di più sono quelli che appaiono come vere e proprie sentenze. La più gettonata tra queste è:   

la solita burocrazia!”. 

Dietro questa frase, apparentemente semplice, composta da un articolo determinativo, un aggettivo e un sostantivo (peraltro abusato, ndr), si nasconde (ma contemporaneamente, si palesa), un drammatico universo, composto dall’ignoranza (dal verbo ignorare?) di chi la scrive, dalla deformazione del significato originario del termine burocrazia, ma, più di ogni altra cosa (occorrerebbe fare un bagno di umiltà) dal fallimento esponenziale del sistema prevenzionistico sul lavoro. 

È inutile girarci intorno.  

Se la valutazione del rischio viene considerata un adempimento burocratico (nel nuovo significato astratto), vuol dire che l’impianto di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, basato principalmente sul concetto di prevenzione, non ha funzionato.  

E non ha funzionato principalmente perché non è stato compreso e non siamo stati in grado di farlo comprendere. Anzi (e questo è un altro motivo), lo abbiamo mercificato, commercializzando software, producendo documentazione più o meno ciclostilata, buona per tutte le occasioni ed insinuando, così, un pericoloso meccanismo di sottovalutazione sulla necessità di sicurezza sul lavoro. 

Nel 2021 ci sono stati più di 1000 morti sul lavoro.  

Perché? La risposta è, per troppi, talmente banale da non essere vista (come dimostrano i fatti), a causa di quel principio aberrante per il quale non vediamo proprio ciò che invece è proprio sotto i nostri occhi: il lavoro (taluni lavori, in particolare) comporta dei rischi ed i rischi sono pericoli che hanno, dunque, intrinsecamente la potenzialità di accadere. 

La propensione umana alla valutazione dei rischi

Eppure, non dovrebbe essere così complicato: l’essere umano è naturalmente “portato” a fare valutazione dei rischi

Mi si passino le prossime licenze, di carattere meramente induttivo e d’impatto:  

se decido di tradire mia moglie/mio marito, mi organizzo in maniera tale da ridurre al minimo il rischio di essere scoperto; chi ha/ha avuto figli piccoli organizza la propria casa per ridurre al minimo il rischio che si possano far male, mettendo barriere alle scale, paraspigoli ai tavoli, utilizzando “cinture” su sedie e seggiolini, etc.; persino nel parcheggiare 5 minuti in doppia fila abbiamo implicitamente fatto una valutazione del rischio. 

Però, quando ci si trova a dover affrontare queste valutazioni, riferite al mondo del lavoro, nascono centinaia di perplessità, dovute, essenzialmente, alla “banalizzazione” di questi adempimenti. 

L’autocertificazione della valutazione del rischio

Sul DVR, addirittura, le prime colpe sono da rintracciare proprio nell’operato del Legislatore, il quale, soccombendo al solito atteggiamento “all’italiana”, ha permesso (sino al 30 giugno 2013!) di autocertificare la valutazione del rischio per le aziende sino a 10 dipendenti (il 60% della realtà produttiva nazionale). 

Per capire cosa si intenda: “Io ci ho pensato. Ho valutato. Va tutto abbastanza bene. Andiamo avanti e produciamo” Le prove? Le soluzioni ai gravi problemi prevenzionistici? L’impegno del datore di lavoro?. 

Il lettore sicuramente starà pensando che, da quella data del 2013, sono ormai trascorsi quasi 10 anni ed il problema non si dovrebbe porre più.  

Invece è il contrario: ci sono ancora moltissime aziende che posseggono solo l’autocertificazione

Chi, invece, si è adeguato, lo ha fatto (spesso) a fronte della già denunciata mercificazione: dal 2013 in poi si è creato il tempio di vendita del DVR.  

Con quale effetto? Che chi, per legge, ne doveva sentire (subire?) l’onere, si è sentito in diritto di dire che, alla fine, si trattava solo di carte, di fogli, più in generale, di burocrazia. 

Ma almeno una volta, all’interno di questo piccolo e modesto contributo, vogliamo vedere cos’è il Documento di Valutazione del Rischio? 

Andiamo con ordine: l’articolo 17, comma 1, lettera a) del d. lgs. n.81/2008 prevede che: “1. Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività: a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento […];” 

Questo precetto appare tra gli obblighi indelegabili del datore di lavoro.  

Come mai è indelegabile? Per rispondere, dobbiamo forse fare un passo indietro e capire cos’è realmente la valutazione del rischio. 

Art. 2, comma 1, lettera q): «valutazione dei rischi»:  

valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza; 

Prevenzione, protezione e programma di miglioramento

Appare chiaro che il fine ultimo della valutazione è l’individuazione delle misure di prevenzione e protezione ed il programma di miglioramento.  

Ma i documenti prodotti, invece, sono quasi sempre improntati (solo ed esclusivamente!) alla definizione dei diversi rischi, nel modo magari più puntuale o preciso o fantasioso possibile, ma senza nulla mettere (aggiungere sarebbe già un verbo ottimistico ed auspicabile) ad una vera attività di valutazione (“Stima, esame di tutti gli elementi necessari alla formazione di un giudizio”). 

Ed anche qui si ritorna sul perché il Legislatore (stavolta bravo) abbia inserito questo obbligo tra quelli indelegabili.  

Ma che ne può sapere la tua agenzia di consulenza del tuo pensiero? Delle tue valutazioni? Delle tue preoccupazioni legate al processo produttivo? Per carità, l’agenzia o il consulente servono a decriptare il tuo pensiero e metterlo per iscritto (come chiede la norma) con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione. 

Non parliamo poi di tutte le altre valutazioni che il TUSL richiede e che vengono “ottemperate” spesso con schede precompilate, prestampate o ciclostilate: 

“La valutazione […], anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o delle miscele chimiche impiegate, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, […], e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, […], nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro e i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, […]”. 

Poi ancora, vogliamo esaminare cosa viene di solito inserito nei c.d. programmi di miglioramento?. Solitamente nulla. Oppure attività banali che non possono mai rappresentare reali miglioramenti prevenzionistici. 

Eppure non è nemmeno difficile: si tratta di un piano di investimenti. Solo che sono investimenti votati al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei tuoi luoghi di lavoro! 

Non volendo essere prolissi (anche perché ci saranno altre occasioni di approfondimento), appare più che evidente la necessità di vedere reali Valutazioni del Rischio, prima ancora di guardare un qualsiasi formalmente splendido documento cartaceo con 4-5 o 20 firme. 

Appare altrettanto evidente che chi si permette di dire che sanzionare chi non ha fatto la valutazione del rischio è vittima di burocrazia, non solo non ha capito nulla (e già sarebbe grave) ma è addirittura pericoloso che esprima le proprie sentenze (senza dispositivo) su social professionali. E’ pericoloso per i lavoratori che, per questa superficialità solonica, rischiano la pelle.  

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