In merito al rapporto lavorativo tra parenti si è formato un consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione che crea un distinguo tra familiari conviventi e familiari non conviventi: per i primi opererebbe una presunzione (seppur relativa) di gratuità delle prestazioni svolte; per la seconda ipotesi la presunzione sarebbe invece di normale onerosità del rapporto, superabile con la dimostrata sussistenza di sicuri elementi in senso contrario.
L’INPS, nel richiamare tale orientamento giurisprudenziale, precisa che i criteri ricavabili dalle pronunce della Suprema Corte si applicano principalmente nei rapporti instaurati nell’ambito delle imprese individuali, delle società di persone e delle attività non rientranti nel concetto di impresa.
Nei confronti delle società di capitali (come nel caso di specie) trovano sicuramente minore applicazione in quanto la figura del datore di lavoro si identifica nella società e non nella persona degli amministratori (Circ. INPS n. 179/1989 – all. C).
Solo alla luce di tali indicazioni può essere astrattamente valutata la regolarità della assunzione quale lavoratore subordinato del coniuge da parte di un professionista. La legge attualmente in vigore riconosce di poter stipulare un contratto di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro, di solo capitale ovvero di capitale misto a lavoro, anche con il coniuge.
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F.to Redazione Tecnica