Sono trascorsi ormai circa dieci anni dall’ingresso massivo dei lavori su fune nel mondo dell’edilizia. Un ingresso indubbiamente d’impatto, sia per la portata dell’azione di comunicazione e marketing svolta dal principale player nazionale, sia per le dinamiche che avrebbero innescato nei tradizionali compiti di cantiere.
In questi dieci anni gli addetti ai lavori che seguono le cronache web sia dalle piattaforma di informazione, dai blog e dai social, hanno vissuto un bombardamento di informazioni volte metaforicamente a tirare i lembi di questo tema, spesso e volentieri a meri fini commerciali.
Da una parte gli odiatori seriali che vedevano nei lavori su fune una diminuzione del loro volume di fatturato sia esso attestato nell’ambito consulenziale o di fornitura materiali, mentre dall’altro lato c’era chi avrebbe seguito e sostenuto questa nuova stella polare dell’edilizia al di là di ogni ragionevole dubbio
L’Italia si sa è il paese del campanilismo e anche sull’argomento lavori su fune non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di scontrarci in modo più o meno motivato trovando dopo qualche anno una sorta di equilibrio e di accettazione. Nei miei corsi di formazione associo sempre questo argomento e ciò che è successo negli ultimi 10 anni alle cinque fasi del lutto di freudiana memoria:
- Negazione
- Rabbia
- Patteggiamento
- Depressione
- Accettazione
Della negazione ho già parlato nei periodi precedenti e per i lavori su fune, come tutte le novità, c’è stata una fisiologica resistenza. Per onestà intellettuale questa resistenza è stata anche alimentata dal tipo di messaggi che nel periodo iniziale il player di riferimento ha prodotto verso la massa.
Mentre il sistema di lavoro con relativi DPI è stato (ed tutt’ora) un punto di riferimento per la tecnica di questo tipo di interventi, parole come risparmio, velocità, basso rischio di effrazione, hanno sdoganato velocemente questa novità verso tutti i committenti, dalla casalinga di Voghera al più quotato amministratore di condominio, generando però in modo inversamente proporzionale una rabbia da parte del mondo degli addetti ai lavori.
Il Professionista più preparato infatti contestava che fattori come velocità e risparmio nulla hanno a che vedere con una puntuale valutazione del rischio, il fornitore medio invece contestata proprio il fatto che in edilizia il fattore velocità è direttamente collegato alla bontà delle lavorazioni.
Spesso si trovavano in rete foto di situazioni reali che rappresentavano attività su fune su situazioni particolarmente estese, anche in copertura, o casi puntuali di possibili mancate valutazioni di rischi interferenziali e la lettura dei post e dei commenti in calce a questi contenuti, evidenziava una rabbia latente difficile da contenere e difficile anche da controbattere con argomentazioni. Chi aveva la pazienza di superare questo clima e leggere l’argomento in modo oggettivo, aveva chiaro che magari c’era qualcosa da aggiustare sia nella comunicazione sia sul campo, ma che non si sarebbe potuto evitare di prendere in considerazione i lavori su fune per il solo partito preso, perché ci sarebbero state molte situazioni in cui la fune rappresentava (e rappresenta) l’unica soluzione d’intervento possibile.
Nella foto sotto ho voluto riportare un esempio estremo di quanto detto nel periodo precedente; da una parte la Torre del Mangia, a Siena, siamo negli anni Ottanta e i 105 metri di sviluppo verticale venivano coperti da un sistema di ponteggio a tubi e giunti. Dall’altra i giorni nostri, stesso intervento di manutenzione con utilizzo di lavori su fune (la fune c’è così come gli operatori, anche se quasi non si vedono). C’è poco da dire, le foto parlano da sole ed è perfino banale parlare di valutazione del rischio…
Beninteso questo mio approfondimento non è un’ode alle aziende che si occupano di fune, perché mentre il player principale sul mercato ha avuto il coraggio e l’umiltà di settare la propria comunicazione ed azione tecnica, ci sono una miriade di soggetti che più o meno consciamente, oltre a copiarne il modello, stanno ovviamente inciampando sugli stessi errori di cui parlavo prima.
La riflessione sugli interventi con fune vuole essere solo una raccomandazione a non incorrere nell’errore di eliminare a priori una possibilità senza valutarne correttamente l’impatto verso la sicurezza degli operatori; la fune è un mezzo, sta a noi consulenti valutarne l’applicabilità a seguito di una puntuale valutazione del rischio.
Certo potremmo parlare della bontà della valutazione del rischio che, se realizzata con le matrici, può essere aggiustata alla bisogna, ma sarà argomento di prossimi approfondimenti e quindi non voglio entrare nel tema specifico, anche se appare anacronistico nell’era dell’IA, produrre VR sempre con le solite “matricette”….
Tornando al tema di questa riflessione la percezione dei professionisti pare ormai volta all’accettazione di questa lavorazione come parte integrante dello spettro delle operatività edili; allo stesso modo è interessante vedere come sempre più aziende abbiano sviluppato al loro interno gruppi di operatori ed operatrici abilitati e specializzati all’intervento su fune, integrando le tradizionali operatività sul campo.
E’ interessante anche vedere anche che quella quota di mercato erosa ai coordinatori per la sicurezza stia ritornando indietro sotto altre forme con una sempre maggiore richiesta di tecnici interni ed esterni a supporto di queste aziende, sul campo e in backoffice, aprendo nuove possibilità lavorative che prima non esistevano.
Attenzione però a non incorrere nell’effetto rebound, perché il mercato del lavoro su fune è in continua evoluzione e come tutte le accelerazioni sta generando storture e situazioni in cui viene meno sia la professionalità del soggetto esecutore, la sua formazione ma soprattutto la possibilità di prendere lavori usando questo tipo di tecnica, anche quando siamo di fronte a lavoratori autonomi.
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