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Nella tarda serata del 21 marzo ultimo scorso, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, ha anticipato i contenuti del nuovo (ultimo ma non ultimo) DPCM 22 marzo 2020, che sancisce ulteriori e più stringenti misure per il contenimento del contagio da Covid19. 

Sulla norma, per quanto concerne il settore dell’edilizia, ove probabilmente ci si aspettava qualche intervento più mirato, sono sorti numerosi dubbi sulla liceità e sulla legittimità della prosecuzione di tutte o di talune attività lavorative

A chi vi scrive preme precisare sin da subito che, con questo breve intervento, non si vuole sindacare la congruità e, men che meno, la bontà dell’intervento legislativo ed anzi, proprio nell’ottica dell’intervento asettico ben lontano dai tecnicismi politici (in senso buono, pare che oggi occorra specificarlo), appare utile richiamare l’attenzione sulla “tipica” impostazione di un decreto (sia esso un DPCM o un DL, etc.).  

DPCM 22 marzo 2020

La prima parte del testo normativo è ovviamente riservata alla premessa, contenente le ragioni per cui lo stesso viene emanato. Nel nostro caso la risposta è ovvia: parliamo delle misure di contenimento rispetto all’emergenza sanitaria del Covid19 – Coronavirus.

La parte centrale del testo è normalmente un resoconto (lo chiamiamo riassunto?) dei precedenti interventi di legge (laddove esistano) aventi lo stesso oggetto; .

La terza parte (in genere l’ultima, se non ci sono allegati) “decreta” le decisioni dell’organo istituzionale rispetto all’argomento. Spesso, lo fa con semplici richiami, anche correttivi, derogativi o abrogativi, rispetto alle norme precedenti. 

Nel nostro caso, approcciamo direttamente la terza parte, ponendoci la domanda spesso sollevata in questi giorni: i cantieri possono continuare ad operare?  

Orbene, considerando l’ultima parte del DPCM, la risposta appare evidente: è certamente sì. La ragione è che i due principali codici ATECO, tipici del settore delle costruzioni (ATECO 42: Ingegneria Civile; ATECO 43.2: installazione di impianti elettrici, idraulici e altri lavori di costruzioni e installazioni) sono entrambi contenuti all’allegato 1 e cioè nell’elenco dei settori produttivi che, al momento, non sono oggetto di sospensione

Potremmo dunque chiudere l’intervento sostenendo con certezza che i cantieri edili possono rimanere aperti. 

Ma la verità non è questa. L’ultimo DPCM non ha la presunzione di essere il Decalogo del Monte Sinai ma, più semplicemente, vuole essere un ulteriore, sensibile “giro di vite” alle probabilità di contagio che possono materializzarsi in taluni settori produttivi, sempre però rimandando agli interventi normativi precedenti e alle prescrizioni contenutevi. 

Si diceva che la seconda parte del testo di legge, in genere, richiama, ribadendone la validità, i precedenti interventi normativi. 

Nel DPCM 11 marzo 2020, all’art.1, commi 7 e 8, la norma contemplava i comportamenti da tenere per “le attività produttive e per le attività professionali“. 

Non v’è alcun dubbio che la cantieristica rientri a pieno titolo (imprese, lavoratori da un lato e tecnici, CSE, DL dall’altro) tra queste attività per le quali vengono impartite precise prescrizioni minime che si elencano in maniera non esaustiva: distanze minime tra i lavoratori, utilizzo (e relativa sostituzione periodica) di DPI specifici, sanificazione dei luoghi di lavoro, restrizioni nella “mobilità” dei lavoratori (oggi ancor più stringente), etc. 

A questo punto, senza volersi esprimere direttamente sull’efficacia dell’intervento normativo (cosa peraltro possibile solo empiricamente), la scelta sulla possibile prosecuzione dei lavori in cantiere spetta solo a chi, ex lege, ha la responsabilità (e/o la capacità) di valutare il rischio biologico di contagio e stabilire, di conseguenza, se le prescrizioni governative siano sufficienti o meno a portare avanti l’attività produttiva. 

La fattispecie “cantiere”, rispetto a questo tipo di rischio, è difficilmente “omologabile” o classificabile in quanto estremamente differenziata: c’è il cantiere all’aperto, il cantiere al chiuso, il cantiere con spazi ampi, quello con spazi angusti, il cantiere con pochi lavoratori, il cantiere con molte interferenze, quello facile da “ventilare”, etc. 

COMMITTENTE, CSE E GLI ALTRI SOGGETTI COINVOLTI

E’ probabile (purtroppo) che ci saranno altri interventi ancora più restrittivi ma, al momento, è compito dei soggetti che hanno la titolarità del cantiere (CSE, Committente, DdL da un lato, Datori di Lavoro, RSPP e Medici Competenti dall’altro) effettuare (finalmente) una vera valutazione del rischio biologico. 

Per tornare all’ultimo DPCM 22 marzo 2020, vista la piena validità dei precedenti precetti di legge, appare importante concentrarsi sulla specifica restrizione: l’articolo 1, comma 1, lettera b) che regolamenta la mobilità delle persone fisiche (e dunque anche dei lavoratori), di particolare interesse del settore edile, spesso caratterizzato da appalti extraterritoriali (in senso molto ampio) recita:  

(..)e’ fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; conseguentemente all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo2020 le parole «. E’ consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza» sono soppresse (..)”  

In particolare, appare utile concentrare l’attenzione sulla frase “salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”  

COMPROVATE ESIGENZE LAVORATIVE E URGENZA

A meno che non vi sia stato un refuso (cosa alquanto improbabile) la lettura è abbastanza chiara: le comprovate esigenze lavorative devono essere anche di assoluta urgenza. In caso contrario, si rimane a casa. 

Al fine di evitare diatribe su questa valutazione “restrittiva” con chi non ha giustamente dimestichezza con il recente linguaggio normo-politico, basta rileggere la frase nel corretto italiano; “l’assoluta urgenza” non è da intendere come un’alternativa alle altre esigenze, per due ovvie ragioni: 1) la frase “salvo che (..) di assoluta urgenza (..)” non avrebbe alcun senso grammaticalmente; 2) non si giustificherebbe l’utilizzo della congiunzione disgiuntiva “ovvero” nel caso dell’ultima deroga (motivi di salute). 

COSA SI VUOLE INTENDERE PER URGENZA?

Per essere più chiari, se “l’urgenza” fosse stata un’alternativa, la frase sarebbe stata: salvo che per comprovate esigenze lavorative, “ovvero” di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute” . 

Nel nostro caso, dunque, l’assoluta urgenza è un “rafforzativo” della frase e perciò un ulteriore presupposto o vincolo alle comprovate ragioni lavorative.  

Rammentiamo poi che, con le nuove restrizioni, “le parole «E’ consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza» sono soppresse”. Le “comprovate” esigenze lavorative, dunque, perdono il proprio peso specifico dinnanzi alla possibilità che, dopo essere andato a lavoro, non possa più rientrare a casa. 

IN SINTESI

Riassumendo: la norma non prevede la tassativa cessazione delle attività di cantiere ma le vuole giustamente sottoposte alle restrizioni di norma e cioè:  

  • distanze minime tra tutti gli addetti ai lavori (alcune lavorazioni sono materialmente impossibili), 
  • DPI per il caso specifico: mascherine e guanti monouso. A tal proposito, una domanda sorge spontanea: come si conciliano i guanti di cantiere (antistrappo, antitaglio, antifolgorazione) con l’utilizzo monouso?,  
  • sanificazione dei luoghi di lavoro (come si sanifica la demolizione di un pavimento, di un muro, etc?),  
  • contenimento massimo della mobilità degli addetti ai lavori (si vuole rammentare che in cantiere è obbligatoria la presenza di alcuni soggetti: addetto antincendio, primo soccorso, evacuazione e, per le imprese affidatarie, il soggetto incaricato per l’assolvimento degli obblighi di cui all’art.97 
  • per i professionisti è raccomandato lo svolgimento dell’attività “a distanza”: come si concilia con il DdL? E con la vigilanza (anche alta) del CSE

Nei vari decreti legati al momento di emergenza sanitaria non viene indicata palesemente la sospensione delle attività cantieristiche e tutto viene ovviamente rinviato alle valutazioni specifiche. Non vi è dubbio che ci troviamo davanti ad una di quelle situazioni in cui il CSE ritorna ad essere (lo è sempre stato, anche con la vigilanza alta) il “deus ex machina” della salute e sicurezza in cantiere. 

La parola d’ordine è VALUTAZIONE DEL RISCHIO.  

Concludiamo con una riflessione ed un “quiz”: in caso di contagio in cantiere con conseguenze drammatiche, chi verrebbe chiamato a risponderne dalla Magistratura?  

Risposta multipla: Committente, Coordinatore per la Sicurezza e Datore di Lavoro. Senza alcun dubbio. 

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