DPCM coronavirus
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Il DPCM Coronavirus 11 marzo 2020, al suo art.1 , commi 1, 2, 3 indica espressamente le attività che devono osservare il divieto di apertura. In genere si tratta di luoghi al chiuso per cui non possono essere garantite le prescrizioni minime di sicurezza (faccio l’esempio del parrucchiere dove, con ogni evidenza, non è possibile mantenere la distanza operatore-cliente).
Ai commi 7 e 8, invece, la norma prevede i comportamenti da tenere per “le attività produttive e per le attività professionali”.
Non v’è alcun dubbio, a mio giudizio, che la cantieristica rientri a pieno titolo, per un verso (imprese, lavoratori) e per l’altro (tecnici, CSE, DL) tra queste attività per le quali vengono raccomandate precise prescrizioni minime.
A questo punto, non voglio esprimermi nel dire se sia giusto o sbagliato, le responsabilità passano a chi DEVE saper valutare il rischio (in questo caso di contagio) per capire se le prescrizioni minime governative siano sufficienti o meno a proseguire l’attività produttiva.
Purtroppo la fattispecie “cantiere” non è omologabile in quanto estremamente variegata: cantiere all’aperto, cantiere al chiuso, spazi ampi, spazi angusti, cantiere con pochi lavoratori, cantiere con molte interferenze, etc.
Compito dei soggetti che hanno titolarità nel cantiere (CSE, Committente, Datori di Lavoro) è fare la valutazione del rischio biologico (non è che è una novità eh?) anche rispetto a quelle che sono le prescrizioni del governo. Fatta questa valutazione (nei DVR, nei POS e nel PSC), ciascuno assumendosi le proprie responsabilità, si stabilisce se “quel” cantiere può proseguire la propria attività in sicurezza o meno, considerato il contingentamento per l’accesso ai siti e agli spazi comuni.
In questa valutazione “restrittiva” occorre anche considerare il discorso di mobilità delle imprese e dunque dei lavoratori, considerando che la stessa (la mobilità intercomunale, interprovinciale, inter-regionale) oltre ad essere regolamentata da precise disposizioni dello Stato, può costituire anche “veicolo” di contagio.
In ultimo non trascuriamo la prescrizione riferita alle attività professionali che, nel rispetto dei vari ultimi DPCM Coronavirus, devono preferibilmente essere svolte con il minor contatto possibile con l’utenza.
Non vi è dubbio che, rispetto alla cantieristica, ci troviamo davanti ad una di quelle situazioni in cui il CSE ritorna ad essere (lo è sempre stato, anche con la vigilanza alta) il “deus ex machina” della salute e sicurezza in cantiere.
La parola d’ordine è VALUTAZIONE DEL RISCHIO. Una valutazione seria e reale che tenga veramente conto dei livelli e delle modalità di esposizione (tipologia cantiere, numero di lavoratori, distanze minime, luoghi comuni, tempi di esposizione, possibilità di sanificare, etc.).
La magnitudo del danno, tanto, la conosciamo già.

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