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Le manutenzioni in copertura sono state spesso oggetto dei nostri approfondimenti con un’attenta opera di analisi delle principali tipologie di transito, stazionamento ma soprattutto accesso. La riflessione su questa tematica nasce spontanea dalla qualità edilizia del costruire che ha caratterizzato gli ultimi decenni nel bel paese; tempi di esecuzione limitati, scarsa lungimiranza progettuale e ridotta capacità esecutiva sono stati solo alcuni dei fattori che hanno influenzato quello che dovrebbe essere uno degli aspetti più importanti, la futura manutenzione.

Negli ultimi quindici anni il faro si è acceso nuovamente con la proliferazione di normative locali, nel solco di quella nazionale, che hanno posto obiettivi specifici da considerare in fase progettuale, atti a ridurre rischi per interventi futuri in facciate e coperture degli involucri edilizi. 

Nulla di nuovo rispetto ad altri periodi storici dove appare stranamente una lungimiranza tecnica che andava ben al di là delle conoscenze costruttive ma che poteva garantire, seppur con le tecnologie ed i materiali dell’epoca, un elevato grado di efficienza.

Abbiamo già parlato del medioevo con il BRUNELLESCHI ed un parallelismo verso l’attuale Testo Unico D.Lgs. 81/2008 e siamo voluti andare a visitare esternamente il Duomo di Siena, altra opera mastodontica, lasciata in parte incompiuta ma che proprio grazie a diversi stadi costruttivi, mette ben in evidenza quali erano gli apprestamenti lasciati in dote per future manutenzioni.

La costruzione del Duomo di Siena subisce nel corso di circa 150 anni profonde vicissitudini legate ad agenti esterni ma anche e soprattutto progettuali. Il cosiddetto Duomo Nuovo (cfr. Foto 1 – documento area download articolo) rimasto incompiuto a seguito di problematiche tecniche e del passaggio della peste nera, rappresenta una traccia indelebile di quella che sarebbe dovuta essere la maestosità dell’involucro una volta terminato, ma lascia anche una sorta di fermo immagine costruttivo tra la parte completata e proprio quella mai terminata.

Non ci vogliamo addentrare in analisi architettoniche, non di nostra competenza, ma come sempre abbiamo esaminato visivamente le parti interessate, per fare qualche ipotesi proprio in merito alla lungimiranza di progettisti e costruttori, che si trovavano di fronte a esigenze tecniche ed estetiche più disparate.

Come venivano coadiuvate le future manutenzioni in copertura e come si poteva garantire il transito verso accessi (o veri e propri castelli di tiro) altrimenti irraggiungibili? Partiamo dunque dall’analisi delle cosiddette buche pontaie utilizzate in epoca medioevale ma risalenti all’architettura romana, che sono ovviamente presenti sia nella parte completata del Duomo di Siena (Foto 2), sia in quella del Duomo Nuovo mai portata a termine (Foto 1).

Come si può notare dalla foto 3, che evidenzia proprio la porzione di edificio al confine tra la parte ultimata e quella non conclusa, probabilmente in questa zona le buche pontaie erano state volutamente lasciate aperte proprio per il loro eventuale utilizzo anche per la parte del Duomo Nuovo e rimaste invariate anche successivamente, verosimilmente per motivi di utilità anche nel collegamento con l’apertura in alto posizionata proprio al di sotto dell’arco.

Fin qui nulla di particolare visto che ogni centro storico di origine medioevale è caratterizzato da edifici in muratura ove spesso le buche pontaie sono ancora ben visibili perché non otturate (solo in epoca rinascimentale iniziarono ad essere occluse una volta terminata l’opera).

La particolarità della posizione delle buche pontaie esistenti rispetto anche agli accessi verso il sotto-tetto denota come ci fosse una certa lungimiranza nel lasciare spazi di servizio proprio per l’accesso in copertura o almeno ad una parte di essa.

Dove però si evidenzia l’ingegno dei costruttori è proprio nelle buche pontaie posizionate sulla parte del Duomo di Siena che è stata portata a termine.

Da un primo sguardo alla foto 2 probabilmente il lettore avrà dubitato della contezza delle informazioni date nei periodi precedenti. Ad un primo colpo d’occhio sembrano non essere presenti buche e tale sensazione è avvalorata anche da un mantenimento estetico delle facciate senza l’evidenza di forometrie che sarebbero state di dubbio gusto.

Invece non è così e tutto ciò si evidenzia dalla foto 4 dove si possono notare una serie di buche pontaie che percorrono il perimetro delle facciate laterali della Cattedrale, incastonate direttamente sul ricorso in marmo nero posizionato al di sopra delle aperture.

Una posizione che andava così ad unire l’estetica e la funzionalità, lasciando la possibilità di installare future strutture temporanee poste all’altezza della linea di gronda, ma con un impatto architettonico assolutamente nullo nell’ordinarietà (Foto 5).

Le origini di queste valutazioni e tipo di intervento sono sicuramente da ricondursi non ad un ambito di sicurezza dei lavoratori ma certamente ad un mero risparmio di tempo e risorse economiche.

Era possibile quindi poter intervenire se necessario con un vero e proprio ponteggio sospeso, rivoluzionario per quell’epoca, consentendo la costruzione dello stesso in modo consequenziale, una trave dopo l’altra, direttamente in quota, ma al tempo stesso veniva lasciata inalterata la bellezza architettonica delle facciate in marmo.

Accesso di servizio a parti dell’edificio, lungimiranti predisposizioni senza alcun impatto architettonico e riduzione dei costi; tutto in questi concetti porterebbe a pensare alla loro attualità, ma come spesso accade in edilizia, c’è sempre qualcuno che ha dovuto confrontarsi con certe tematiche anche a distanza di secoli e certi insegnamenti non dovrebbero andare mai dimenticati.

Nell’area download sono disponibili in formato pdf le fotografie della visita.

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